Saper vivere

Quelli che “sanno vivere” io non li reggo tanto, soprattutto perché sono tipi che a un certo punto se ne vanno. Più che “saper vivere” mi pare che sappiano “come andarsene”, come “uscire di scena” per evitare l’imbarazzo. Una virtù comoda, senza dubbio, il “saper vivere”, ma io ho sempre apprezzato chi rimane, gestendo i suoi imbarazzi … certo quando è il caso … ma quando sia il caso per voi non saprei spiegarvelo.

Provo a continuare con un raccontino.

Anni fa, quando avevo trent’anni, ero in cerca di casa a Roma. Lessi un annuncio e feci una telefonata. Il giorno convenuto un tizio piuttosto malvestito (era in abito da lavoro, sporco: un muratore o un imbianchino) mi si fece incontro  nel luogo del nostro appuntamento. Lo feci salire in macchina (pregando tra me e e me che non mi sporcasse i sedili) e lui mi accompagnò a mostrarmi la sua villa (la chiamava così) sulla Laurentina.

Quando la vidi – con i nani di Biancaneve in giardino e insegne di locali accatastate in un angolo (le aveva raccolte qua e là da locali dismessi e le voleva usare per arredarci un’area per le feste in giardino, mi disse così) – capii definitivamente con chi avevo a che fare, ma la cosa sconvolgente fu proprio la struttura della villa. Non era nata da un progetto: lui raccoglieva un po’ di soldi e, quando ne aveva abbastanza, metteva su un ambiente (tipo costruzioni Lego). Il risultato fu una combinazione di ambienti assurdo: per andare nel cesso bisognava passare per il salotto!

Non vi è mai capitato di entrare in “salotti” che fanno da anticamera a un “cesso”? Ci sono luoghi o vite che mi fanno questa impressione e, chi può escluderlo, magari anche i miei salotti fanno la stessa impressione ad altri.

Ma poi mi viene da pensare che c’è chi ha faticato per metterlo su così com’è e non lo si può nemmeno criticare ad alta voce, non sarebbe giusto. Pensate se io mi fossi messo a criticare la casa che quel tipo mi voleva affittare. Era lo sforzo di tutta una vita (la sua) e per lui era palazzo Barberini.

Così gli ho detto: “molto grande, troppo per me, cercavo qualcosa di più piccolo”. E me ne sono andato lasciandolo con la convinzione che la sua era una casa da principi e non per tipi come me, che non ero certo un principe.

Se però non te ne puoi andare (o non vuoi), se non sai vivere, che puoi fare? Non ti resta altra strada che capire come “assediare il castello” perché serva a qualcun altro e non solo a chi lo ha costruito. Perché diventi una casa anche per te, un luogo dove puoi toglierti la “giacca” e la “cravatta” se ti va. Alle volte ti va bene, altre volte meno. La vita è così.

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